Fotovoltaico vivente: di cosa stiamo parlando?
Da una ricerca italo svizzera arrivano nuovi passi in avanti per il settore del biofotovoltaico grazie all’inserimento di nanotubi fluorescenti nei cianobatteri. Andiamo a scoprire di cosa si tratta.

Fotovoltaico vivente: cosa significa

Il lavoro offre diversi risultati interessanti. I nanotubi di carbonio sono una conoscenza di lunga data per i dispositivi fotovoltaici. Queste nanoparticelle ingegnerizzate possiedono un’ampia gamma di bande dirette corrispondenti allo spettro solare e un forte fotoassorbimento. Il team è riuscito a indurre l’assorbimento di nanotubi di carbonio a parete singola (SWCNT) in due tipi di cianobatteri Gram-negativi fotosintetici. Un importante progresso per il mondo delle tecnologie nanobioniche, come spiega il Politecnico di Losanna in una nota stampa, dal momento che questi microbi non possiedono meccanismi per far passare le particelle attraverso la loro parete esterna.
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I vantaggi del fotovoltaico vivente

Il professor Ardemis Boghossian, sottolinea:
“Quando i batteri si dividono, le cellule figlie ereditano i nanotubi e le proprietà dei nanotubi”
L’applicazione ha risvolti diretti anche nel settore solare, come spiega Melania Reggente, ricercatrice post-dottorato nel gruppo dell’Ardemis Boghossian:
“Quando inseriamo i nanotubi all’interno dei batteri, questi ultimi mostrano un notevole miglioramento della loro produzione di elettricità sotto illuminazione. Il nostro laboratorio sta ora lavorando sulla possibilità di utilizzare questi batteri nanobionici nel fotovoltaico vivente”.
Il professor Boghossian immagina un dispositivo biofotovoltaico basato sui cianobatteri con controllo automatico della produzione energetica e che non dipenda dall’aggiunta di particelle estranee. In termini di implementazione, la difficoltà ora sono i costi e le implicazioni ambientali del posizionamento su larga scala di nanotubi all’interno dei cianobatteri.