Wishcycling: i rischi per l’ambiente

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17/04/2023

Se non si è sicuri che un rifiuto sia riciclabile, meglio gettarlo nel cestino del non recuperabile. Il rischio in queste situazioni è cadere nel tranello del wishcycling, quella tendenza a gettare nei bidoni del riciclo materiali che invece non si possono recuperare. Andiamo a scoprire quali sono le conseguenze di questo fenomeno sull’ambiente.

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La storia del termine wishcycling inizia nel 2015, secondo le prove raccolte dalla sociologa Rebecca Altman,

Wishcycling: cosa significa

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L’industria ha coniato il concetto di wishcycling per definire quei consumatori che, pur molto sensibili, erano poco educati alla raccolta differenziata e sceglievano di gettare nei bidoni del riciclo materiali che, in realtà, riciclabili non erano. Per un meccanismo psicologico, infatti, le persone scelgono di credere che se differenziano un oggetto, diventerà un nuovo prodotto piuttosto che essere sepolto in una discarica o bruciato.

Questo fenomeno si è acuito negli anni, man mano che le campagne a favore del riciclo da parte di governi, aziende e ambientalisti si sono intensificate. Sembra che il wishcycling affligga particolarmente le materie plastiche che riportano i codici di identificazione del materiale all’interno dell’ormai celebre triangolo composto dalle tre “frecce che si rincorrono”.

Il problema è proprio qui perchè, spesso questi segni distintivi induce il consumatore a credere che l’articolo sia riciclabile, mentre invece è falso. Solo polietilene, PET e polietilene ad alta densità (HDPE) sono relativamente facili da riciclare e hanno un mercato della materia prima seconda. Gli altri richiedono procedimenti molto più complessi, quindi spesso finiscono in discarica o nell’inceneritore.

Wishcycling: quali sono le cause del fenomeno?

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Non è pensabile che i consumatori conoscano in dettaglio i processi di riciclo, la struttura industriale e le dinamiche del mercato. Per questo il dibattito sta cambiando, e inizia ad affibbiare anche al settore privato le giuste responsabilità di questa contaminazione del flusso di rifiuti con materiale che non è effettivamente riciclabile.

La crisi globale dei rifiuti, infatti, non è imputabile ai consumatori che non lavano i barattoli di maionese. I maggiori driver sono globali e includono la sovrapproduzione di imballaggi, gli incentivi al commercio internazionale dei rifiuti e la mancanza di politiche di riciclo standardizzate, investimenti pubblici e normative stringenti. Questo ha permesso alle imprese di “giocare con i simboli” e indurre le persone a pensare che le tre freccette disposte a triangolo, segno distintivo, indicano che il prodotto è riciclabile.

Per ovviare a questa problematica è necessario che i consumatori mettano nel bidone della plastica solo materiale che può veramente essere riciclato. Per fare ulteriori progressi, però, i governi devono imporre alle imprese di progettare packaging pienamente riciclabili e riutilizzabili, tenendo conto di tutto il ciclo di vita dei prodotti, riducendo la produzione di imballaggi monouso e investendo pesantemente nelle infrastrutture del riciclo.