Impronta ecologica: cos’è e a cosa serve

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24/04/2021

Il termine impronta ecologica si riferisce a un metodo di misurazione elaborato da William Rees della British Columbia University nella prima metà degli anni ’90. Significative rielaborazioni avvennero successivamente da un allievo di Rees, Mathis Quackernagel, direttore dell’Ecological Footprint Network.

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L’impronta ecologica è l’indice statistico che viene usato per la misurazione di quella che è la richiesta dell’uomo nei confronti della natura. L’impronta ecologica mette in relazione la quantità di risorse naturali consumate dall’uomo con quella che è la capacità della terra di poterle rigenerare.

Impronta ecologica: che cos’è?

Il WWF nel 1999 ha scelto di utilizzare questo metodo di misurazione e lo propone nel suo rapporto annuale, il Living Planet Report. Considera sei differenti categorie di utilizzo del territorio. Porta in risalto il territorio che è necessario per l’energia. Noi produciamo con i combustibili fossili l’anidride carbonica, questa deve essere assorbita. L’impronta ecologica in questo caso serve a misurare quanta foresta occorre per assorbirla.

C’è l’impronta ecologica che misura il terreno agricolo. In pratica quanta superficie viene utilizzata per poter produrre non solo gli alimenti, ma anche molti altri beni come il tabacco e la juta. C’è il terreno destinato ai pascoli, le foreste per la produzione del legname e c’è anche la superficie edificata, la quale viene dedicata ai vari insediamenti abitativi. Dalla realizzazione delle abitazioni agli impianti industriali, dalle varie aree servizi fino alle vie di comunicazione.

Impronta ecologica: limiti

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L’impronta ecologica interessa anche il mare. Viene calcolata la superficie marina che è dedicata alla crescita delle risorse per la pesca. Come metodo di misurazione comunque ha dei limiti. Sono stati gli stessi inventori a dichiararlo. L’impronta ecologica infatti comprende soltanto le emissioni di CO2.

Esclude invece gli altri gas come per esempio l’azoto, anch’esso un gas serra molto pericoloso. Questa non è l’unica pecca. C’è anche quella che riguarda l’energia. Non vengono infatti fatti dei riferimenti per esempio sull’approvvigionamento delle fonti non rinnovabili e non viene considerato il territorio necessario per lo stoccaggio delle varie scorie radioattive che derivato dall’energia nucleare.

Il calcolo dell’impronta ecologica quindi ha dei limiti e a questo punto è evidente che il valore che si ottiene è sottostimato. Non riporta dati concreti su quelli che sono i veri danni ambientali, i quali sono ben maggiori di quelli che l’impronta ecologica ci mostra. Resta comunque si uno strumento di riferimento molto utile, nonostante non potrebbe comunque portare alla risoluzione dei problemi ambientali se i fossero la parità tra le risorse e quelli che invece sono i consumi stimati.

Impronta ecologica personale

C’è infine l’impronta ecologica personale. In questa categoria rientrano i beni alimentari, i trasporti, l’abitazione, i servizi, i beni di consumo come gli accessori, i computer etc. Intervenendo in modo sostenibile su questi punti è possibile abbassare la nostra impronta ecologica. Un esempio? Fare la spesa da un produttore locale a chilometri zero con una busta di stoffa invece che di plastica. Da una parte non solo andiamo a non incrementare la necessità del trasporto tra regione e regione o nazione e nazione, ma risparmiamo pure denaro!